I siciliani sono un popolo a parte perché, pur vivendo in un’isola, si dividono su tutto. Basti pensare ai catanesi, messinesi, palermitani… che si comportano come se appartenessero a etnie diverse, marcando confini inesistenti.
Ma i siciliani su una cosa sembrano essere uniti: nel confondere la retorica con la memoria, e viceversa.
Il 23 maggio, così come il 19 luglio, sono due ferite profonde, mai veramente rimarginate, che attraversano l’intero Paese.
Oggi in tanti si dicono stanchi di eventi passerella, dove la memoria viene trascinata a fondo dalla retorica.
Purtroppo la banalità della mafia è che tende a rigenerarsi, evolversi al punto da apparire altro.
Per questo la memoria è fondamentale per i siciliani, anche quando questa indossa le vesti della retorica. E tocca proprio a chi queste vesti individua nelle ricorrenze, dare il proprio contributo.
La memoria è come una candela che si accende anche nei giorni in cui c’è luce. Ma proprio per il suo essere candela nel tempo si consuma. La sua sopravvivenza è possibile solo nel dialogo tra generazioni diverse, affinché quelle più giovani siano nelle condizioni di riprodurre quella candela. Perché il buio non è mai veramente sconfitto e la sua forza sta proprio nell’assenza di luce.