Quel tacito e atavico accordo di mutua fedeltà è ormai venuto meno da tempo. Tra me e i social si era instaurato negli anni un patto – unilaterale, of course – di non belligeranza. Pur riconoscendone i limiti, le follie e le imposizioni dittatoriali, avevo deciso di usarli per “lavoro”. Un’aurea giustificazione.
Ho sempre cercato di evitare che la vanità prendesse il sopravvento ma con risultati a dir poco penosi. Il sole accecante delle condivisioni e dei like accompagna l’espressione dell’Io nella delirante iperbole dell’autoreferenzialità.
Detto in parole povere, mi sono spesso ritrovato nel postare contenuti utili, probabilmente, solo per un intenso lavoro di autoanalisi e di autocoscienza.
Quando ho virato puntando su altre mete, commentando fatti di cronaca, avviando confronti su posizioni e polarizzazioni, mi sono ritrovato nel mare impetuoso delle tempeste e, in particolare, di quelle che in modo più elegante vengono definite shit storm.
Fondamentale il ciclone Morgan, i cui numeri esprimono al meglio l’esposizione mediatica.
Ecco, la tempesta perfetta. Attacchi ingiustificati e violenti si accavallano a commenti innocui di dissenso.
Quello che mi colpisce è il flusso inarrestabile, migliaia e migliaia di commenti che si scaraventano contro l’impossibilità di un controllo, di una verifica, di una valutazione. A questo si accompagna il preoccupante fenomeno dell’ignoranza di massa. Nessuno approfondisce i contenuti che legge.
Decido, così, proprio in questi giorni di mollare l’ormeggio. Lascio parzialmente i social. Mantengo la presenza, riduco le interazioni.
I social sono oggi un ambiente tossico, o forse lo sono sempre stati. Determinano molti aspetti della vita reale. Una deriva che reputo preoccupante. Uscire dal flusso di interazioni significa per me tirarsi fuori da una patologica condizione di sudditanza anche nei confronti di un algoritmo che determina ciò che io devo conoscere, vedere, leggere, condividere.
Mi stabilisco qui, su GiovanniVillino.eu, una casa esterna ed estranea ai meccanismi di gestione social dei contenuti per la condivisione dei miei pensieri.
Non so se i social diventeranno davvero a pagamento e se ci saranno algoritmi nuovi che determineranno un miglioramento delle piattaforme. So che poggio qui le fondamenta del mio lavoro. E così sia.
Dopo una frequentazione ventennale, sono arrivato alla conclusione che per una quieta presenza sui social sia buona cosa tenersi fuori dalle polemiche quotidiane. Spesso sterili. Capisco che per i giornalisti questo sia poco produttivo, perché postare e commentare notizie è anche lavoro, ma bisogna essere consapevoli del pubblico dei social network: facebook ne ha uno, twitter un altro, instagram ancora un altro. Ogni social ha il suo algoritmo, il comune denominatore è l’engagement. Più livore c’è dentro una discussione, più quella discussione viene mostrata. Sto scrivendo delle cose che saprai già, perché ti seguo e leggo da anni.
Non credo che far pagare i social network migliori la situazione, basti vedere Twitter (anzi X) che deriva stia prendendo. Piuttosto si rischia di creare delle “classi sociali” dove chi paga è mostrato di più ecc… Ne verrà fuori sempre vanità e poco contenuto informativo.
La soluzione (se così si può definire) è creare una propria community, come nel tuo caso il blog, dove costruisci delle discussioni che puoi moderare, o che comunque non sarà necessario perché hai un pubblico che ti conosce, che “legge” ciò che scrivi.