Da bambino sentivo gli anziani della parrocchia parlottare e gridare allo scandalo quando qualche uomo entrava in chiesa in pantaloncini o gruppi di ragazzine avanzavano tra i banchi in canottiera e short. Oggi, in un clima di indifferenza diffusa, sento il bip del Pos davanti ai portoni in legno di chiese e chiesuzze, il vociare lungo le navate laterali e centrali, vedo frotte di turisti abbarbicati gli uni sugli altri mentre scattano selfie dando le spalle al tabernacolo… e penso che qualcosa, nel tempo, non sia andata per il verso giusto.

Qualche giorno fa passeggiavo lungo il Cassaro. Stavo percorrendo i luoghi del mio ultimo romanzo, Negare il bene, per scattare qualche foto in vista della presentazione che farò tra ottobre e novembre. Passando davanti a San Giuseppe dei Teatini mi sono detto: salutiamo il Padrone di casa, una preghiera e proseguiamo. Negli anni dell’università, quella chiesa era per me una tappa fondamentale: messa di buon mattino e poi dritto verso viale delle Scienze.

Ripensando a quel periodo della mia giovinezza, salgo i gradini con il volto chino. All’improvviso qualcuno mi sbarra la strada con il braccio: “Buongiorno, mi scusi ma per entrare in Chiesa deve pagare un ticket”. Guarda la ragazza e sorrido. Penso sia uno scherzo o, meglio, una richiesta di obolo da parte di qualche associazione. No, mi sbagliavo e la ragazza non scherzava. Dovevo pagare un ticket per entrare in chiesa. La fisso negli occhi e le dico sorridendo: volevo soltanto pregare, non sono un turista. La risposta è stata disarmante: se viene prima c’è la messa e può entrare gratis. Adesso ci siamo noi e si paga per entrare. Il tono perentorio fa spegnere il sorriso sul mio volto. Abbandono, forse senza neanche salutare, la discussione.

Dopo quanto accaduto, mi ero ripromesso di scrivere un post, ma PalermoToday mi ha abilmente anticipato. Ieri ho letto un articolo di Dossier sulla questione del biglietto d’ingresso (a pagamento) per le chiese. Se n’è occupata Rosita Rijtano. Il titolo del servizio è emblematico: “Volevamo dire una preghiera, ma ci hanno fatto pagare: entrare in chiesa a Palermo costa fino a 4 euro“.

Al netto del confine labile tra quella che è a tutti gli effetti una limitazione del culto e ciò che potrebbe essere definito un lecito diritto della Chiesa, ammetto che mi sento smarrito. Vedere i loghi dei pagamenti elettronici, il banchetto con il Pos, i ticket e tutto l’armamentario di vendita, banconote in bella vista incluse, prima delle acquasantiere mi lascia senza parole. So che corro il rischio di essere tacciato per populista e di dovere ascoltare la stanca e logora litania del “facciamo pagare perché con i soldi si mantiene il bene, si pagano le spese, perché altrimenti resterebbe chiuso…”, e così via dicendo.

Ma mi ostino a pensare che debba essere sempre assicurata la possibilità dell’accesso gratuito a quanti vanno in chiesa per pregare. Volete mettere il biglietto a pagamento per sostenere le spese di mantenimento del bene stesso? Bene, destinate per la visita turistica singole parti come la cripta, il tesoro, il battistero, il campanile, il chiostro, una singola cappella ma lasciate aperto a tutti l’edificio principale della chiesa per la preghiera. Avviene così, ad esempio, in Cattedrale.

Detto questo leggere la chiosa dell’articolo di PalermoToday fa male, soprattutto perché a pronunciare le parole che seguono sarebbe stato un prete. Detto in soldoni: Vuoi pregare? Vattene in altre chiese. Amen.

By Giovanni Villino

Giornalista professionista e siciliano creativo. Supervisore editoriale e vicecoordinatore di redazione di Tgs, Telegiornale di Sicilia. Appassionato di social media e sostenitore del citizen journalism.

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