Leggo i drammatici bollettini meteo e torno con la mente alla mia infanzia.
Anche allora c’erano i giorni di caldo e ricordo che si stava in casa con le finestre socchiuse, a vanidduzza. Tapparelle calate ma non fino a terra. La penombra dominava gli spazi e i silenzi del primo pomeriggio.
Mia madre passava lo straccio umido per terra… “per rinfrescare”. Non avevamo l’aria condizionata perché “faceva male” o, probabilmente e più semplicemente, perché costava troppo. Un lusso “insalubre” secondo i miei genitori. Io e mio fratello giocavamo distesi sul pavimento attenendo che arrivasse “la rinfrescata” per potere andare a giocare in oratorio. Il tempo si dilatava, e con esso l’attesa.
In quel tempo, oltre ai soldatini schierati nel campo di battaglia fatto di graniglia di marmo, disegnavamo i nostri giocattoli o immaginavamo la squadra migliore da schierare nel cortile del don Bosco per vincere la partita. Ecco perché il caldo di quei giorni probabilmente pesava di meno. Pensavamo ad altro. Era poi tutto un saper attendere, tutto un ascoltare. L’esatto contrario di oggi. Lo so, c’è il riscaldamento globale, l’inquinamento, Greta, i Friday for future… il clima è cambiato. Ma anche noi siamo cambiati e non ce ne rendiamo conto.
Spero che ritorni presto l’era del cinghiale bianco.
Da bambini si giocava sulle spiagge con degli
Aquiloni a gara sotto il sole
Mentre guardavamo il mio salire verso l’alto
Preoccupati che non si sciupasse
La mia parte assente si Identificava con l’umidità