Per alcuni il viaggio è iniziato in Eritrea. Per altri in Somalia. Per altri ancora dall’Etiopia. Una fuga dal regime, dalle violenze, dalla fame, dalle difficoltà di una vita che è la negazione della vita stessa. Si lascia tutto e si va incontro al nulla per salvare qualcosa dell’unica vita di cui si dispone, la propria. Quel lungo cammino, che porta lontano da affetti, casa e patria, è fatto di tanto deserto, fisico e interiore. Passo dopo passo ci si ritrova insieme a condividere un sentiero tracciato dalla disperazione, ognuno è solo con se stesso. E così si arriva in Libia. Ultima tappa prima del salto nel vuoto. Ci si affaccia lungo la costa e si osserva quel mare profondo che diventa nero di notte. Dalle coste di Misurata il mare è ciò che separa due continenti ma è anche ciò che unisce due terre. Da una parte la disperazione, dall’altra la speranza.
Si sale a bordo di un peschereccio lungo circa 66 piedi, venti metri. E’ il primo ottobre. Eritrei, somali, etiopi sono gli uni accanto agli altri. Schiacciati. E nell’animo di ognuno c’è il desiderio di una vita nuova che si mischia al terrore di una traversata. Sentimenti che si confondono tra loro come le onde che si infrangono sul legno logoro di quell’imbarcazione.
Il viaggio è lungo. E dopo decine di ore di navigazione si arriva a circa mezzo miglio dalle coste lampedusane. A un passo dalla speranza, i motori si bloccano. Siamo a poca distanza dall’Isola dei Conigli. Si deve fare qualcosa. E ci pensa l’assistente del capitano. Vuole attirare l’attenzione delle navi che passano, e lo fa con uno straccio infuocato. Ma quel fuoco spaventa, terrorizza chi è a bordo. Il fumo che si sprigiona confonde. Ci si allontana da quel panno infuocato. Ma la barca, stracolma, si rovescia.
Sono le sette del mattino del tre ottobre del 2013. Pescherecci e imbarcazioni notano i naufraghi che annaspano. Parte l’allarme. Ma è tardi. E’ tardi per trecentosessantotto donne, bambini, uomini.
E’ il 3 ottobre del 2013 quando TRECENTOSESSANTOTTO persone muoiono per non morire.
Quella che oggi si ricorda è una delle più gravi catastrofi avvenute nel Mar Mediterraneo. Dieci anni fa, di fronte all’isola dei Conigli, perdevano la vita 368 persone, per gran parte donne e bambini, eritrei e somali. È il naufragio di Lampedusa, quella tragedia da cui è stata istituita, il 3 ottobre, la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”. Per non dimenticare. Un monito che purtroppo si perde nei chilometri che separano Lampedusa da Bruxelles. E che arriva come un’eco flebile a Berlino e Parigi. Così sommessa e fievole, questa eco, da risultare anche fastidiosa.
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