In giro per Palermo. Sono insieme all’operatore tv. Lui telecamera in mano, io il microfono.
Camminiamo lungo le vie del centro storico. Un flusso imponente di turisti attorno e un’atmosfera che in città non vedevo da tempo.
Dobbiamo realizzare alcune interviste sul passaggio della Sicilia in zona gialla. Ristoratori, commercianti… siamo lì per sentire il loro punto di vista su questa ennesima restrizione. Ad un certo punto noto un uomo che ci scorge da lontano. Ci fa cenno con la mano di non proseguire e di attenderlo. Si avvicina con fare apparentemente cordiale.
IO – Buongiorno…
LUI – Buongiorno, da quello che vedo lei è un giornalista. Me lo conferma?
IO – Certo, mi dica?
LUI – Le volevo dire solo che lei è un venduto. Lei è un venduto (ripete alzando il tono della voce). La smetterete presto di fare terrorismo.
IO – Le posso chiedere se sa chi mi ha comprato?
Il tizio va via guardandomi con sdegno. Comprendo che di aspetto non sono un granché e lo sguardo poteva così essere spiegato. Quello che non comprendo, o le cui ragioni temo di avere compreso, è ciò che da qualche tempo accade. Con sempre maggiore frequenza mi capita di ritrovarmi in situazioni in cui vengo attaccato pubblicamente in quanto giornalista.
Nei confronti della categoria di cui faccio parte si è scatenata una sorta di caccia alle streghe. I giornalisti sarebbero colpevoli di diffondere un clima di terrore, di nascondere la verità, di giocare sul futuro delle persone. Di essere al soldo dei poteri forti. Di ignorare il potere del popolo.
C’è qualcosa che sta muovendo e orientando le masse. Un clima di odio assai pericoloso.
Qualche giorno fa tra i commenti ad un mio post su Facebook mi si faceva notare dei limiti e dei rischi che corre l’informazione nel fornire alcune notizie o nell’etichettare alcune categorie, vedi, ad esempio, quella dei Novax.
Sicuramente questa pandemia ha palesato i limiti e le scarse capacità organizzative di un intero sistema: sanitario e politico. Ma non solo. È chiaro come il COVID abbia mostrato il volto peggiore in era social della comunicazione. A tutti i livelli: da quella istituzionale a quella dei media.
Siamo dentro un flusso che non ha precedenti nella storia. Perché la storia in questo momento storico la scrivono anche i social. O meglio, a scriverla sono gli algoritmi che determinano reazioni, emotività, paure, istinti primordiali che si scontrano apertamente con la razionalità e il buon senso.
Probabilmente la persona che mi ha fermato ha davvero ragione: sono un venduto. Un venduto ad una causa. Quella di informare.
Nel mio lavoro, con la mia presenza sui social mi sono sempre guardato dall’innescare campagne di odio. Non è nel mio stile, né tantomeno affine al mio modo di pensare.
Bollare “sbrigativamente” come no vax un’ampia e variegata porzione di non vaccinati effettivamente può essere ingiusto e non pienamente corretto. Tuttavia è anche vero che tra le file di coloro che non vogliono sottoporsi alla vaccinazione ci sono anche loro, i novax. Loro sì, diffusori di paure e confusione.
Ma io, come tantissimi miei colleghi, abbiamo sempre tenuto fermo un punto: il rispetto della verità sostanziale dei fatti e i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede…
Siamo dentro ad una doppia pandemia: sanitaria e sociale. E proprio sul fronte sociale, anzi social, qualche riflessione andrebbe fatta.
Perché sì, lì siamo tutti venduti. Abbiamo tutto venduto: privacy, libertà e riservatezza. Il problema è che nessuno ci ha guadagnato tra gli utenti.
In compenso vediamo, ascoltiamo e leggiamo solo ciò che è più affine al nostro pensiero. E questa realtà aumentata è anche virtuale. Ma senza virtù.