Scorrendo velocemente la timeline, ci possiamo accorgere facilmente che ogni post, foto o video che viene condiviso spesso non è più valutato per il suo contenuto, ma per la capacità di generare like, condivisioni, commenti.
Se il numero di “mi piace” è alto, è più facile che raccolga nuove reazioni.
In tanti, più o meno consapevolmente, celebrano questo rituale quotidiano che immola il significato in nome della visibilità.
Tutto questo nel tempo ha portato a un appiattimento dei contenuti: si condivide ciò che è più probabile che piaccia, altrimenti meglio stare in silenzio. Si preferisce essere approvati, misurando il successo delle parole non in termini di significato, ma di reazioni.
È una vittoria dei social e una sconfitta degli utenti che li popolano: in pratica non abbiamo più il contatto con lo scopo della comunicazione, ovvero esprimere idee, stimolare riflessioni, creare connessioni.
La ricerca del consenso, diceva Michael Crichton, è il primo rifugio dei cialtroni; è un modo per evitare il dibattito affermando che la questione è già risolta.