Da tempo ho ridotto al minimo ogni forma di condivisione di pensiero personale sui social. Dopo la vicenda di Morgan, mi sono trasferito in questa casa digitale – il mio sito – per dire la mia su eventi, persone, fatti e misfatti, o ancora, più semplicemente, per esprimere le mie posizioni. E non solo ho ridotto i post: commento anche pochissimo. Ancora oggi mi scappa qualcosa, ma rientro subito nei ranghi. Impossibile pensare ai social come a un terreno fertile per la crescita del pensiero o come palestra per la dialettica.
Non sono di certo un contatto ideale per accrescere l’engagement altrui. Plaudo ai risultati belli, incoraggio sulla voglia di fare ma non mi spingo quasi mai al di là del “Ad Maiora!” o del semplice “augurissimi”.
Nell’ultimo periodo questa scelta ha portato alcuni vantaggi, innegabili:
- Minor tempo trascorso sui social
- Calo dell’acredine e dell’insofferenza
- Ripristino di un sano livello di tolleranza
Ecco, su quest’ultimo punto voglio soffermarmi per qualche istante. Parto dalla definizione, o meglio dall’etimologia: la parola tolleranza viene dal latino tolerare ovvero sostenere. In senso figurato anche sopportare. Tollerare qualcosa significa sopportarla. Dalla sopportazione, tuttavia, si è passati all’accettazione di idee e opinioni altrui. Un confine labile – tra sopportazione e accettazione – i cui contorni non sempre sono netti. I suoi margini sono inquieti.
La tolleranza, oggi, si è trasformata in accettazione, più che rispetto, del pensiero altrui, anche quando quest’ultimo si spinge nei terreni, assai fertili e caleidoscopici, dell’imbecillità.
Manifestare un pensiero, che viene giudicato dalle masse divisivo o non in linea con quello dominante o di tendenza, è un rischio. Così come fare resistenza al dilagare dell’imbecillità ci isola e ci porta all’interno del recinto degli intolleranti.
Era il 1905 e uno scrittore, Gilbert Keith Chesterton, metteva nero su bianco queste parole:
Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. Sarà una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto.
Gilbert Keith Chesterton, Eretici, 1905
Non ho le forze, il tempo né tantomeno la voglia di sguainare una spada sui social. So che abbandono in modo lento la locanda degli stolti. Perché il mondo reale è ancora un rifugio sicuro per il pensiero, per la crescita, per l’umanità.