Palermo oscilla lentamente tra visioni e incubi. Degli incubi del cimitero, dell’immondizia, della gestione della macchina burocratica… ne ho parlato e scritto. E tanto ci sarà ancora da dire, scrivere, mostrare e raccontare attraverso la cronaca. Ma Palermo è fatta anche di visioni che prendono forma. Lentamente.
Palermo non è stata mai né bianca, né nera. Chiunque lo afferma è in cattiva fede. Perché la parte più bella di Palermo la si riconosce nella penombra. In quel tentennare di posizioni e giudizi che la tengono in bilico, ad un passo dal girone degli ignavi. Viene perdonata per l’indolenza con cui agisce (si fa per dire). Ma forse è proprio questa assenza di posizioni polarizzate che gli consente di evolversi con consapevolezza. Ma lentamente. Troppo lentamente.
Negli ultimi anni si avverte con sempre maggiore frequenza una puzza di dimenticanza. La stessa delle acque putride delle fontane del centro storico. Ma Palermo è anche l’odore delle visioni che prendono forma. Lentamente. Come ogni processo culturale importante c’è bisogno di tempo. E a Palermo ancora di più.
Oggi abbiamo una città che vive il turismo. Fino a qualche anno fa l’alternarsi di lamiere colorate lungo il Cassaro o via Maqueda segnava il passare del tempo. Oggi è la “babele di lingue” a popolare questa straordinaria isola pedonale. Turisti. Oggi Palermo si riconosce, si specchia, anche nel suo nome. La città tutto porto riabbraccia il mare. Anche questo un percorso lento. Ma provate oggi a correre con lo sguardo Da Vergine Maria al Foro Italico… guardate l’azione di recupero dell’Autorità portuale in uno spazio che prima richiamava nell’immaginario collettivo container, traghetti e caos. Oggi sì, il caos rimane soprattutto nelle fasi di imbarco, ma per tutto il resto Palermo in quello spazio è rinata.
E così lentamente ne prendiamo atto. Troppo lentamente.
E probabilmente è proprio questo che mi rimane più impresso di Palermo. La lentezza. Questo suo incedere tardivamente ad ogni rivoluzione. Palermo vive di rimorsi, remore e rancori.
Palermo a una storia lunga 3000 anni. E su questi anni il tempo si dilata e pesantemente si poggia sulla memoria. Memoria che cede nel ricordo dei suoi figli migliori, sui santi e sui profeti. Cede per il peso e per il carico di quell’eredità che si tramanda con indolenza, lentamente.
Palermo nutre gli stranieri e divora i suoi figli. E straniero in questa terra non è colui che proviene da luoghi lontani. Ma colui che sfrutta, uccide e devasta il cuore puro di una città che dimentica e lentamente avanza.